Un giorno d’inverno del 2000 a colazione ai Remi di N.Y...

 
...il nostro caro amico Philip Clark fece squillare il telefono...”Caro Ricky domani ti farò conoscere due giovani architetti”
Passammo tutta la mattina al 173-176 di Perry Street accanto ad un uomo alto ed elegante che portava una cravatta nera su una candida camicia bianca. Per noi non più che trentenni , Richard Meier era una figura leggendaria dell’architettura. Fino a quel momento lo conoscevamo solo dalla sue opere e da qualche lezione che avevamo seguito all’università di Firenze. Il suo studio anch’esso dai toni di solo bianco e nero, sembrava una permanente tra bacheche di plastici e di grandi tavole di disegni.

…”Io credo, da architetto, che quel che facciamo è compreso in un continum. L’architettura è in rapporto sia con la storia, sia con il momento presente. E’ il risultato di un dialogo interiore, uno sforzo creativo consapevole di dare forma allo spazio, lo spazio in cui ci muoviamo ed esistiamo, ed in cui facciamo esperienza”...



Ci salutò con queste parole…mai prima di allora un incontro nuovo ci apparve tanto familiare! Già da un anno Tommaso ed io avevamo cominciato a lavorare insieme, nel nostro studio nel Valdarno a due passi dal Chianti e sempre con lo sguardo fisso su Firenze, dove abbiamo tutto: la lezione dell’architettura è tutta lì, basta guardarla con attenzione. Noi, abbiamo un metodo di lavoro molto singolare. Siamo in due e ci muoviamo come nel gioco degli scacchi. Uno muove le pedine, gli alfieri, le torri, il re e la regina con traiettorie rettilinee e in parte prevedibili; l’altro muove il cavallo che salta da un punto all’altro. Non necessariamente i nostri ruoli durante la partita si scambiano, anche se può succedere: se uno muove il cavallo e punta sull’utopia, nell’altro prevale la razionalità; se uno salta in avanti, l’altro tende a consolidare il progetto.

E’ il caso della realizzazione di un Borgo - Borgo di Montefiorile - da noi così nominato, nel Comune di Gaiole in Chianti. Quella con il territorio rurale è una sfida assai difficile soprattutto quando si tratta di una progettazione attigua a un Borgo esistente in pieno Chianti Classico. Si è trattato scavare nella massa compatta del tessuto del “Borgo” per tirare fuori i vuoti di piazzette, porticati, passaggi, viuzze, per comporre forme moderne ma tradizionalmente senesi, segni e volumi che ricordano le architetture dipinte da Simone Martini, o i bastioni e i contrafforti delle architetture militari di Francesco di Giorgio Martini. L’esperienza del Chianti si è risolta in altri lavori su borghi fino all’incontro con il tema delle cantine.

E’ il caso delle cantine del Castello di Ama dove oltre alla ristrutturazione dei loro locali, grazie alla curiosità e all’intraprendenza dei proprietari, abbiamo sperimentato il connubio arte/architettura. Nel 2002 ci viene commissionata la realizzazione dell’allestimento permanente del progetto del Muro di Buren nella proprietà di Ama. Partendo dalla sperimentazione dell’artista francese, di questo muro ricoperto di specchi e dotato di forature sui vigneti, ci siamo imbattuti nell’assunto del “pensiero visivo”. Quello che più ha colpito è la constatazione del procedimento con il quale l’artista era pervenuto ad un immagine totalmente astratta partendo da una base realistica. Alla prospettiva classica di un muro di recinzione in cemento lui aveva sovrapposto una nuova struttura di segni , colori e lucentezza. Osservando quel capolavoro comprendemmo che alla dimensione antropometrica dello spazio si può sovrapporre quella percettiva. Riassumendo una determinata immagine può formarsi soltanto in un luogo specifico.
Con questa strategia diventa possibile connettere visivamente luoghi diversi e lontani in modo ce entrino a far parte di una sequenza percettiva e perciò di quel Continum spaziale, che ci aveva sussurrato un dì Richard Meier. A sette anni di distanza abbiamo cercato di traslare il tutto nel nostro progetto più interessante FORO VARCHI. Noi crediamo che quella di Foro Varchi possa essere ascritta alla continuazione di un modus operandi progettuale che accompagna il nostro lavoro. ForoVarchi è la costruzione di uno spazio urbano con i suoi vuoti, strade e piazze ed i suoi pieni, gli edifici. L’epiteto di “Foro” racchiude il senso del progetto: come nel passato un centro pulsante di vita pubblica e spazialmente un recinto continuo di palazzi costruiti sul filo stradale, dalle linee eleganti e dalle forme possenti e regolari.

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